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Ritratti di città. Pavia tra progetti per la mobilità e l’incognita dismissione

Vi allego ora la seconda parte del mio articolo di esordio come collaboratore per «Il Giornale dell'Architettura». Il link originale è QUESTO

 

Seconda parte del viaggio nel capoluogo lombardo alla scoperta delle strategie di riqualificazione. Tra il Piano urbano per la mobilità sostenibile, il progetto di un polo multifunzionale e la valorizzazione del patrimonio

Il nodo della mobilità

Pavia è città dalla forte vocazione per la mobilità su due ruote e con i mezzi pubblici. Proprio per questo riveste importanza strategica la proposta preliminare del PUMS (Piano urbano della mobilità sostenibile) recentemente approvata. La più importante modifica alla mobilità prevista in futuro, rilanciata dal sindaco lo scorso dicembre a margine dell’approvazione del documento, è quella del recupero del progetto del tram leggero, che vorrebbe sfruttare il tratto urbano di binari proveniente da Codogno che entra città a est da Porta Garibaldi e arriva fino alla stazione FS.

Anche il completamento della rete delle piste ciclopedonali assume un ruolo chiave nella strategia futura della pianificazione della mobilità cittadina, al fine di permettere collegamenti lungo le direttrici che portano dal centro alla periferia, dando la possibilità di poter preferire la bicicletta ai mezzi motorizzati, sia pubblici che di proprietà (come già succede nel centro storico). Manca infatti ancora un sistema di percorsi e piste ciclabili di valenza naturale e storica che porti all’interno della città la Greenway Milano-Pavia-Varzi. Il tracciato ideale, che si sviluppa tra le province di Milano e Pavia, è di 112 chilometri ma, ad oggi, si perde subito dopo l’ingresso in città.

L’importanza delle vie d’acqua

Pavia è anche città dalle forte valenze ambientali. Fondata sul Ticino, la presenza dell’acqua è sempre stata di fondamentale importanza nello sviluppo urbano. Il rapporto con il fiume, che è la ragione stessa dell’esistenza della città, appare evidente attraverso le relazioni che si sono sviluppate nella storia come testimonia ad esempio il celebre Ponte Coperto. Lo testimonia anche l’ex Idroscalo, pregevole architettura appoggiata sul Ticino inaugurata da Benito Mussolini in persona nel 1926, per la quale qualcosa si sta muovendo grazie ad un investimento da 4 milioni in un progetto, ad opera dell’architetto pavese Luisa Marabelli, per la conversione in polo turistico-culturale.

Nel corso dei secoli si è poi aggiunto il sistema dei navigli e dei canali, che costituisce una delle caratteristiche peculiari e un riferimento identitario per tutta la Lombardia. La struttura del Naviglio Pavese insieme al corso della ferrovia, hanno favorito lo sviluppo, lungo il loro corso, di poli industriali come la Necchi o la SNIA-Viscosa, e di servizio al commercio. Il sistema del Naviglio è quindi un elemento che in città pone in relazione edifici storici, percorsi paesaggistici e sistemi del verde, anche attraverso la presenza dei manufatti per la regolazione delle acque, sebbene oggi rimanga un luogo di separazione e non di ritrovo e rivitalizzazione, soprattutto nell’area degradata del confluente. Proprio per questo uno degli obiettivi fondamentali del PGT, indicato nel Documento di piano, consiste nella valorizzazione e rifunzionalizzazione delle sponde del Naviglio (e in altre zone, del Ticino), che devono assumere il ruolo di nuove infrastrutture destinate al tempo libero, come aste collettive che si integrano al sistema delle strade e piazze storiche, da sempre luoghi d’incontro per i cittadini. Una buona opportunità per la rivitalizzazione del Naviglio è rappresentata dal progetto del completamento dell’idrovia Locarno-Milano-Venezia, recentemente tornato in auge grazie ai progetti delle vie d’acqua legati ad Expo 2015, e che dovrebbe avere in Pavia una tappa importante nel proprio sviluppo futuro.

Una città nel bosco

La superficie complessiva del verde fruibile, cioè quella parte di verde pubblico o privato ad uso pubblico, direttamente utilizzabile, a Pavia è molto elevata. A testimonianza dell’alto benessere ambientale, vanno aggiunte poi le aree agricole, il Parco Agricolo del Ticino e il Parco Visconteo.

Risulta tuttavia rilevante la mancanza di un disegno unitario delle aree verdi. Infatti, allo stato attuale esistono stralci di verde pubblico in un sistema frammentato che non ha la capacità di coprire il territorio in modo strutturato, trattandosi per lo più di spazi di risulta all’interno del tessuto edificato. Per ovviare a questo problema, l’attuale amministrazione intende aumentare la quota di verde pubblico, anche acquisendo aree da privati in cambio di diritti edificatori nelle aree dismesse e di trasformazione. Una delle grandi astrazioni del PGT, della quale si sono perse le tracce, aveva però un respiro ancora più ampio e prevedeva la realizzazione a scala urbana di un bosco di cintura urbana che, oltre alla valenza di servizi ecosistemici, perseguirebbe la finalità di ricomposizione paesaggistica dei margini urbani per dare a Pavia la nuova aggettivazione di “città nel bosco”.

Quale futuro per i vuoti urbani?

La nota dolente per Pavia è quella dei vuoti urbani ereditati negli ultimi decenni, ai margini degli abitati storici, principalmente dalla dismissione dei siti industriali, ancora oggi nodo irrisolto della pianificazione urbana. Un sesto di città (85 ettari circa) risulta a tutt’oggi l’estensione delle aree dimesse NeCa (80.000 mq), Necchi (con annesso lo scalo ferroviario – 400.000 mq complessivi), Snia (174.000 mq), Dogana (130.000 mq), Arsenale (140.000 mq) ed Enel, il cui destino è ancora tutto da decidere. Tra costosissime bonifiche non ancora effettuate (Necchi), mal eseguite (NeCa) e vicende giudiziarie di vario genere, ancora non si vedono vie d’uscita. L’unica grande area a non avere ancora conosciuto alcuna ipotesi di masterplan è la Necchi, mentre quella della NeCa risale al 2009 (progetto Studio Fuksas) e quella dell’ex Snia addirittura al 2000 (Studio FOA). Ipotesi progettuali che, seppur affascinanti, ormai risultano obsolete. È invece in via di definizione il progetto del nuovo Arsenale che prevede al suo interno l’archivio della Regione Lombardia, del MiBACT e la futura caserma dei vigili del fuoco, oggi in viale Brambilla. Il masterplan, ancora in fase embrionale, prevede che l’Arsenale sia completamente libero dalle auto, così da rendere pienamente fruibile il corridoio verde che collegherà via Riviera al Ticino, anche in considerazione del recupero del Navigliaccio. Le linee guida stilate dal Comune avrebbero in previsione anche la possibilità d’insediare nuove funzioni quali residenze non più alte di 5 piani in grado di ospitare fino a un massimo di 1.143 nuovi abitanti, asilo e materna, una pista ciclabile, tre strutture commerciali da 600 mq ognuna, nuovi insediamenti produttivi, piccoli negozi e poi parcheggi e laboratori artigianali e di ricerca.

Non mancano anche importanti “vuoti” all’interno della città quali l’ex caserma dei carabinieri di via Defendente Sacchi (ancora invenduta dopo numerose aste andate deserte), l’ex Mondino di via Palestro (11.257 mq dell’Università attualmente preda di degrado e bivacchi) e l’ex clinica Morelli di piazza XXIV maggio, l’ex sede Sip in via Carati, l’ex Banca d’Italia di via XX settembre, l’ex sede della caserma dei Vigili del fuoco di via Porta (9.910 mq), le ex tettoie militari di via Lomonaco (20.000 mq), gli ex magazzini militari di viale XI febbraio (12.600 mq) e l’ex caserma di via Tasso (altri 23.550 mq). Tutte occasioni che amministrazioni, investitori e cittadini dovranno cogliere per dare finalmente una visione strategica al futuro di questa città.

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