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Utøya dopo il massacro del 2011: la risposta dell’architettura

Posto questo interessante scritto della rubrica spazio alle idee in Inarcassa:welfare e professione 3/2017, Editrice Inarcassa che mette in risalto un intervento che dimostra quanto possa (e debba) essere sempre centrale il ruolo dell'architetto nei processi urbani, anche con piccoli gesti come questo.

Come rispondere, anche attraverso l’architettura, alla violenza e ai massacri che segnano indelebilmente i luoghi e l’anima della civiltà Occidentale? Lo studio Blakstad Haffner Arkitekter ha dato una interessante risposta, riuscendo nel difficile compito di riportare la vita, sull’isola di Utøya, nella sede dell’AUF, l’organizzazione dei Giovani Laburisti Norvegesi, dopo la strage del 22 luglio 2011 ad opera del trentaduenne norvegese Anders Behring Breivik. Hegnhuset – si legge in un articolo a firma Blakstad Haffner Arkitekter pubblicato sul sito Archdaily ai primi di settembre 2017 – “è una casa di memoria, apprendimento e comunicazione”. Lo studio ha lavorato con l'AUF (Arbeidernes Ungdomsfylking), sullo sviluppo di Utøya come campeggio da agosto 2011 e sta lavorando ancora nel continuo processo di ricostruire Utøya come un importante centro di dibattito politico. “L'edificio – scrivono gli architetti – contiene una storia di sopravvivenza e di morte: abbiamo conservato le parti dell'edificio direttamente interessate, mantenendo contemporaneamente i servizi igienici che servirono come luoghi di nascondiglio sicuri”. Gli architetti hanno voluto tracciare, in quei luoghi, segni e percorsi altamente simbolici, aggiungendo una nuova costruzione in legno all’edificio principale dove avvenne il massacro e orientandola in senso diverso per creare un’emozione di spaesamento: “69 pilastri di legno – spiegano gli architetti – che sostengono il tetto dell'edificio, definiscono l’ambiente e rappresentano coloro che sono morti il 22 luglio. Intorno a queste 69 colonne ci sono 495 pali esterni più piccoli che creano un recinto sicuro e custodito tutt’intorno: il numero rappresenta coloro che sopravvissero alla tragedia di Utøya e che porteranno i pensieri e ricordi di quel giorno per il resto della loro vita”. Altri segni e altri percorsi: sotto il vecchio caffè è stato ricavato uno spazio per un'area di apprendimento e informazione, disegnata da Atle Aas e Tor Einar Fagerland. La vecchia scala tra il vecchio edificio della caffetteria e la nuova struttura crea un legame visivo tra le memorie del 22 luglio 2011 e la zona di apprendimento intorno alla casa. All’esterno, poi, lo studio Blakstad Haffner ha creato una serie di spazi comuni e di strutture semplici dai colori elementari, sempre in legno, aperte verso il bosco. “La migliore risposta – ha scritto Luca Molinari, commentando il progetto su L’Espresso – a chi ci vuole soli e spaventati: luoghi caldi in cui vivere bene insieme”.

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